03 Mar 2024

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Lo Sport come “Terapia”: I benefici dell’attività fisica sulla mente e sul corpo

L’espressione latina “Mens sana in corpore sano” sintetizza un concetto molto importante: avere una mente “sana” porta giovamento anche al corpo, affinché ciò avvenga gioca un ruolo molto importante lo sport, che ha la capacità di portare benefici sia sulla psiche che sulla salute fisica.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce attività fisica: “qualsiasi movimento corporeo prodotto dall’apparato muscolo-scheletrico che richiede dispendio energetico” ed include qualunque attività che viene praticata nella vita di tutti i giorni sia sul lavoro che nel tempo libero, compresi i lavori domestici e gli spostamenti.

Quali benefici si ottengono sulla mente praticando sport?
Numerosi studi hanno confermato che praticare sport, non necessariamente a livello agonistico, basta una camminata giornaliera di 30 minuti, incide positivamente sul benessere psicologico.
Questo perché l’esercizio fisico aumenta i livelli ormonali di serotonina migliorando così il tono dell’umore e il rilascio di endorfine, che riducono il livello di stress; la pratica costante permette anche di riposare bene e migliorare la percezione del proprio stato di salute.
Gli sport di squadra, inoltre, aiutano ad incrementare l’empatia e le abilità sociali.

Quali benefici si ottengono sul corpo praticando sport?
Praticare attività fisica con regolarità significa fare una scelta a favore della propria salute.
I benefici che si ottengono sul nostro corpo sono numerosi come, per esempio: la prevenzione di malattie metaboliche, cardiovascolari e dell’artrosi, la riduzione della pressione arteriosa e il mantenimento dei livelli corretti di glicemia e colesterolo nel sangue, contribuendo a ridurre il tessuto adiposo in eccesso.

Se praticare costantemente sport per qualche ora alla settimana può essere paragonato ad una “terapia”, intesa come coadiuvante per altre terapie che siano di natura psicologica, psicoterapeutica o farmacologica, gli effetti benefici che questo comporta sono: calmare la mente, aiutare a moderare lo stress e migliorare l’umore, combattere la depressione, ridurre il livello di ansia e può aiutare a prevenire e gestire anche i problemi di salute mentale più gravi.
L’attività fisica è molto utile nella gestione dello stress sia acuto che cronico, per esempio, fare una passeggiata prima di rientrare a casa dopo una giornata di lavoro impegnativa, può aiutare a sentirsi meglio, ma anche un esercizio breve ed intenso, come 20 minuti di spinning, quando le condizioni mediche lo consentono, può facilitare la gestione della rabbia.
I pazienti con depressione, sono poi la classe di persone con disturbi psicologici che sicuramente possono beneficiare maggiormente dell’attività sportiva, come molti articoli scientifici hanno descritto e dimostrato.
Praticare sport inoltre favorisce il rilassamento e rafforza l’autostima, caratteristiche che aiutano ad un corretto approccio alla vita e alla gestione dei problemi quotidiani.
Il valore sociale dello sport è senz’altro uno dei benefici principali dell’attività fisica, in quanto favorisce l’interazione tra le persone, aiuta a stringere nuove amicizie ed a sentirsi meglio con sé stessi e con gli altri.
Lo sport, infatti, riduce la solitudine e permette anche di sviluppare rapporti sociali forti e duraturi, prevenendo gli effetti negativi per il benessere psichico causati da un’eccessiva solitudine.
L’attività fisica, di qualunque natura essa sia, assume un’importanza rilevante nella trasmissione di valori di grande rilievo, quali la lealtà, il rispetto, l’amicizia, l’impegno e la crescita personale.

Si può concludere citando un aforisma di Pierre de Coubertin: “Lo sport va a cercare la paura per dominarla, la fatica per trionfarne, la difficoltà per vincerla”, che è un po’ quello che avviene quando si intraprende un percorso psicoterapeutico.

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La pratica della MINDFULNESS e i suoi benefici

Quanto tempo passiamo tutti i giorni a pensare a noi stessi, a ciò che è nostro, alle nostre azioni, a quello che abbiamo fatto e a quello che ancora dobbiamo fare?
Ogni giorno le nostre vite sono piene di impegni da portare a compimento, con il risultato che le giornate diventino nient’altro che una somma di cose fatte o da fare.
Tutto questo ci crea ansia e dolore, e non ci permette di vivere bene. Passiamo più tempo a pensare alla nostra vita che a viverla davvero.
La “Mindfulness” ha l’obiettivo di insegnarci ad essere presenti alle nostre vite, di farci scoprire il valore del “non sapere” e il valore di imparare a stare con noi stessi, senza giudicare e senza pensare troppo. Solo vivendo.
Secondo la definzione di Jon Kabat-Zinn ( Professore emerito di Medicina e fondatore del Center for Mindfulness in Medicine e creatore del programma MBSR-Mindfulness Based Stress Reduction) mindfulness significa “porre attenzione in un modo particolare: intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante”.
Si tratta in altre parole di dirigere volontariamente la propria attenzione a quello che accade nella propria mente, nel proprio corpo e intorno a sé, momento per momento, ascoltando più accuratamente la propria esperienza e osservandola per quello che è, senza valutarla o criticarla, ma restando semplicemente in ascolto di quello che c’è nel momento in cui accade.
Diventare mindful significa essere capaci di mantenere la mente ferma sull’oggetto – sia esso un respiro, una sensazione fisica, un’emozione, un sentimento, un’immagine, un pensiero o un fatto accidentale della vita – senza distrazioni e in uno stato di autentica calma non reattiva, nel quale si accetta ciò che viene osservato per quello che è, indipendentemente dalle sue caratteristiche attraenti, sgradevoli o neutre, consentendo all’esperienza di svelarsi naturalmente, senza ostacolarla né promuoverla ed evitando dunque resistenza o giudizio.
L’utilità del raggiungimento di uno stato mentale mindful è legata al fatto che gran parte dei processi mentali a cui ci affidiamo nella vita quotidiana è guidata da un “pilota automatico”, cioè supportata da meccanismi automatici di pensiero spontanei e spesso del tutto inconsapevoli basati su routine e abitudini che si sono consolidate nel tempo.
L’attitudine a reagire agli stimoli esterni, soprattutto stressanti, inserendo il pilota automatico può condurre alla lunga ad un automatismo di ritorno, ovvero le risposte automatiche riducono la percezione individuale della scelta libera e dell’esercizio di controllo, e producono sensazioni di inadeguatezza, incapacità e impotenza che sono alla base di una vasta serie di compromissioni psicologiche come ansia e un numero variegatissimo di disturbi da stress.
La pratica della Mindfulness consiste nella pratica della meditazione, la cui essenza è prestare attenzione al momento presente, alla propria esperienza, in un stato di autentica calma non reattiva.
La meditazione non è una pratica facile e non è passiva: richiede tempo, energia, determinazione, fermezza e disciplina.
Si allena la mente ad essere più stabile e meno reattiva, e nello stesso tempo si impara ad accettare e coltivare ogni istante così come viene, accrescendo la propria capacità naturale di concentrazione, prestando attenzione a cosa ci accade, intorno e dentro.
Lo scopo finale della meditazione è portare la concentrazione e la consapevolezza nella nostra vita quotidiana, nei momenti facili e in quelli difficili, in ogni contesto e situazione.
Si tratta, dunque, di una progressiva e stabile trasformazione del nostro modo di essere, dell’acquisizione di una nuova abitudine mentale.

I BENEFICI
Ricerche hanno dimostrato l’efficacia della Mindfulness nel trattamento di:
PROBLEMI PSICOLOGICI GRAVI quali la depressione,l’ ansia, psicosi, problemi di immagine corporea, abuso di sostanze, trauma, esibizionismo, disturbi alimentari, dipendenza da nicotina ed ADHD.
PROBLEMI PSICOLOGICI NON CLINICI come problemi affettivi, attenzione e memoria, autostima, e stress. PROBLEMI FISICI come psoriasi, dolore cronico (ernia del disco, artrite reumatoide, fibriomialgia, emicrania) terapia del dolore in pazienti col cancro.
PROBLEMI INTERPERSONALI quali empatia, relazioni coniugali, genitorialità.

Le tecniche di meditazione sono utilizzate in numerosi contesti medici, come dimostrano le pubblicazioni scientifiche relative ai risultati ottenuti.
La ricerca medica sull’uso di tecniche di “Trasformative mindfulness” ha prodotto risultati interessanti nel settore delle neuroscienze, dove sono state documentate con metodi di neuroimaging variazioni di funzione cerebrale in soggetti che praticano la meditazione.

Con la pratica costante si ottengono BENEFICI anche in AMBITO EDUCATIVO
Gli studenti potrebbero percepire minor ansia da esame, aggressività, assenteismo, sospensioni e acquisire maggior attenzione, autoefficacia, abilità sociali, ragionamento, velocità di elaborazione delle informazioni, creatività, collaborazione di classe.
Gli studenti universitari che hanno partecipato a gruppi di meditazione hanno ottenuto medie di voti significativamente più alte dopo 1 anno.
Anche gli insegnanti possono trarre giovamento dalla pratica, in quanto sono più presenti, attenti, pazienti, riflessivi, creativi e meno soggetti a burn out

La pratica costante della Mindfulness È UTILE perché:
Rilassa il sistema nervoso simpatico (deputato alla reazione di attacco/fuga) responsabile di risposte fisiologiche correlate all’attività psichica (come la pressione arteriosa, problemi cardiaci, digestivi, dolore cronico, etc.). Rallenta la frequenza cardiaca, la respirazione, i processi digestivi.
È stato rilevato che i meditatori hanno una corteccia cerebrale più spessa, correlata alle funzioni di memoria, attenzione e intelligenza.
Migliora, infine, le funzioni cognitive come la:
RIFLESSIONE – la percezione dei pensieri come tali
RIDUZIONE del processo di generalizzazione delle memorie autobiografiche – le cose non sono così brutte come si pensa
FLESSIBILITA’- permette di orientare in modo consapevole le proprie reazioni (non automatiche) ATTENZIONE NON REATTIVA – permette di sottoporre ad esame una vasta gamma di emozioni e sentimenti spiacevoli.
Il potere terapeutico e trasformativo della Mindfulness consiste nel prestare attenzione al miracolo e alla bellezza di chi noi siamo e nella possibilità di espandere le nostre potenzialità di essere, di conoscere, di agire durante l’arco di una vita vissuta con consapevolezza e profonda gentilezza nei confronti di ogni cosa che si manifesta.

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Perché decidere di intraprendere un percorso di Psicoterapia

Capita almeno una volta nella vita di sentirsi sopraffatti o in difficoltà ad affrontare i propri problemi, e spesso, alcuni di questi, con il tempo, passano e si riesce a tornare ad uno stato di tranquillità. Tuttavia, altre volte, questo stato di sofferenza non svanisce con facilità e, anzi, si protrae nel tempo. In questi casi si può sentire il bisogno di chiedere aiuto ad un professionista, che possa fornire un’assistenza specialistica. Quando è consigliato intraprendere un percorso psicoterapeutico?

Quando chiedere aiuto?

Quando si presenta un prolungato senso di tristezza e affaticamento, di incapacità nell’affrontare le attività quotidiane, o quando si ha la sensazione di non riuscire a risolvere i il problema nonostante gli sforzi e gli aiuti di amici e familiari.
Le difficoltà ad affrontare la vita di tutti i giorni, la perdita di concentrazione al lavoro o a scuola, le preoccupazioni eccessive o, avere la tendenza a temere sempre il peggio, sono buone ragioni per chiedere aiuto ad un terapeuta.
Inoltre, se si è pericolosi per sé o per gli altri: se si fa uso di sostanze, si beve troppo alcool o, si diventa sempre aggressivi.
Queste sono situazioni che richiedono l’intervento e il supporto di un/a psicoterapeuta.
Tuttavia, qualunque contesto personale, che risulti difficile da affrontare in autonomia, è sufficiente per richiedere l’aiuto di un professionista.

Qual è il ruolo di una/o psicoterapeuta?

Lo psicoterapeuta è una figura specializzata (può essere uno psicologo o un medico che ha conseguito la Specializzazione quadriennale in Psicoterapia) con conoscenze approfondite sulla mente, sul comportamento e sulla salute psicofisica della persona.
Il suo compito è quello di lavorare sulle emozioni, comportamenti e pensieri del paziente cercando di aiutare lo stesso a comprenderli, riconoscerli e gestirli nella maniera più corretta.
Grazie all’utilizzo di tecniche e di strumenti validati da modelli e teorie psicologiche studiati e riconosciuti dalla comunità scientifica, la figura dello psicoterapeuta si pone come obiettivo quello di migliorare il benessere psicologico della persona e di tutelare la sua salute psicofisica, cercando di costruire un rapporto terapeuta-paziente che dia supporto durante tutto il percorso terapeutico.
Per questa ragione è richiesta collaborazione da parte del paziente, con il quale lo psicoterapeuta deve cercare di instaurare un rapporto di fiducia all’interno di un ambiente confidenziale, aperto al dialogo e privo di pregiudizi.

Come capire se la terapia sta funzionando?

In generale, se stiamo meglio.
Può sembrare banale, ma è un chiaro segno che ci permette di capire se la terapia sta funzionando.
Ovviamente, non sarà un risultato immediato, il percorso terapeutico può essere più o meno lungo e può presentare degli ostacoli, che richiedano più tempo ed energie rispetto ad altri.
Saranno necessarie un numero minimo di sedute che permettano di creare quel famoso rapporto con il terapeuta, fondamentale per la terapia.
Per questa ragione se non si percepiscono subito dei cambiamenti positivi non bisogna scoraggiarsi. È consigliabile chiedere al terapeuta stesso in che cosa consisterà il percorso da affrontare e la sua durata.
Una volta stabilito il rapporto, posti gli obiettivi e intrapreso il percorso terapeutico si inizieranno a percepire i cambiamenti positivi.
Inoltre, un buon modo per capire se la terapia sta funzionando, è anche quello di chiedersi se come pazienti ci si sta impegnando e collaborando al meglio.

In cosa consiste la psicoterapia cognitivo – comportamentale?

In brevissima sintesi, la psicoterapia cognitivo-comportamentale si basa sul concetto che le risposte comportamentali ed emotive siano influenzate da pensieri, convinzioni e credenze che abbiamo su noi stessi, gli altri e il mondo.
Essa si avvale di tecniche mirate alla modificazione dei comportamenti, ma anche di tecniche per modificare i pensieri maggiormente disfunzionali e le credenze erronee più radicate.

Infine concludo con questa considerazione: quante volte nella vita quotidiana abbiamo sentito dire che: “siamo tutti un po’ psicologi…”
Beh, non è così!
È vero che le persone possono avere livelli differenti di empatia e di capacità di ascolto, ma di certo, non tutti hanno una formazione in psicologia e una specializzazione di psicoterapia.
Stiamo parlando di 5 anni di studi universitari, un esame di stato per l’abilitazione alla professione più altri 4 anni di specializzazione in psicoterapia. In tutto sono 9 anni di studi, esami ed esperienze pratiche che permettono di acquisire le competenze necessarie a fornire l’aiuto adeguato in base ai diversi tipi di problematiche che le persone ci portano in studio.
Inoltre, un buon amico può sicuramente fornire consigli preziosi, ma di certo è disposto a mentire per farci stare bene. Magari temiamo di poter essere giudicati negativamente per alcune nostre debolezze. Ci sono poi cose che non racconteremmo a nessuno, anche perché non saremmo protetti da alcun segreto professionale, per questi e altri motivi è, quindi, fondamentale rivolgersi a professionisti della salute mentale.

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Stili di comportamento: Passivo, Aggressivo o … Assertivo?

A ciascuno di noi può essere capitato che un amico ci faccia una richiesta che vorremmo rifiutare, ma diciamo ugualmente di “si”, oppure di provare disagio e non sapere cosa rispondere se ci viene fatto un complimento, o ancora di trovarsi al ristorante, dove ci viene portato del vino cattivo e non osarci a rimandarlo indietro. Questi esempi illustrano uno stile di comportamento “passivo”, ovvero subire gli altri, non essere in grado di dire la propria opinione, avere difficoltà nel prendere decisioni, pensare che gli altri siano migliori di noi, avere paura del giudizio altrui, richiedere la loro approvazione o non essere in grado di dire “no” ad una richiesta .
Quando, invece, usiamo frasi come: “Io mi aspettavo ben altro da te”, “Se tu mi fossi realmente amico ti comporteresti in un altro modo”, “Tu sai quanto io tenga a te e ciò che sto dicendo è solo per il tuo bene” sono comportamenti tipici di una persona “aggressiva”, persona che fa violenza ai diritti altrui, che è convinta di non sbagliare, che attribuisce i propri errori agli altri, si ipervaluta, non accetta altri punti di vista, non cambia la propria opinione anche di fronte all’evidenza dei fatti, colpevolizza, inferiorizza e si arroga il diritto di giudicare.
La persona dallo stile di comportamento “assertivo” si colloca tra l’aggressivo ed il passivo.
Il significato di assertività viene dal latino “asserere” che significa “asserire”, ovvero esprimere se stessi.
L’assertività è la capacità di affermare i propri diritti e il proprio punto di vista, comunicando in maniera diretta e calma. Sa esporre i propri desideri, si basa su una buona stima di sé ed il rispetto degli altri in un clima di uguaglianza.
Prevede un comportamento che affronta le discussioni invece di evitarle in maniera passiva, ma le gestisce in maniera costruttiva esponendo le proprie ragioni, senza essere aggressivi, in equilibrio con i diritti “assertivi” degli altri.

Il comportamento assertivo è basato su:
 La capacità di riconoscere le proprie emozioni
 La capacità di comunicare emozioni e sentimenti anche negativi.
 Il riconoscimento dei propri diritti e sulla capacità di avere rispetto per sé e per gli altri.
 La disponibilità ad apprezzare se stessi e gli altri.
 La capacità di autorealizzarsi e poter decidere sui fini e gli scopi della propria vita: per raggiungere tale obiettivo è necessario possedere un’immagine positiva di sé, fiducia e sicurezza personale, ovvero una buona autostima.

Di seguito i capisaldi del comportamento assertivo, che sono impliciti nei diritti di ciascun essere umano:

• Voi soli avete il diritto di dire di no senza sentirvi in colpa.
• Avete il diritto di giudicare il vostro comportamento, i vostri pensieri e le vostre emozioni e di assumervene la responsabilità accettandone le conseguenze.
• Avete il diritto di non giustificare il vostro comportamento adducendo ragioni o scuse.
• Avete il diritto di decidere se occuparvi dei problemi degli altri, se essere responsabili degli altri.
• Avete il diritto di mutare parere e opinione … di cambiare il vostro modo di pensare.
• Avete il diritto di sbagliare, assumendovi la responsabilità delle eventuali conseguenze negative.
• Avete il diritto di non farvi coinvolgere dalla benevolenza che gli altri vi mostrano quando vi chiedono qualcosa.
• Avete il diritto di essere illogici nelle vostre scelte.
• Avete il diritto di dire “non so” quando vi si chiede una competenza che non avete.
• Avete il diritto di dire “non capisco” a che non dice chiaramente che cosa si aspetta da voi.
• Avete il diritto di dire “non mi interessa” quando gli altri vi vogliono coinvolgere nelle loro iniziative.
M.J. Smith, You have the right to say no, without feeling guilty
M.J. Smith, Avete il diritto di dire no, senza sentirvi in colpa.

A questo punto è lecito chiedersi se esiste realmente una persona “assertiva”.
Penso che vi sarà capitato di trovarvi con qualche persona con cui potevate parlare liberamente senza avere paura di venire criticati o aggrediti. Se avete incontrato questo tipo di persone allora sappiate che, anche se in minima percentuale, il tipo di persona assertiva esiste.
La distinzione tra i vari tipi di comportamento (passivo, aggressivo, assertivo) è, in se stessa, di natura prevalentemente teorica , spesso noi slittiamo tra un comportamento e l’altro.
In una determinata situazione possiamo essere assertivi e in un’altra aggressivi. Ad esempio un individuo può essere assertivo sul lavoro, avendo appreso che l’essere aggressivo presenta più spesso la conseguenza di essergli svantaggioso, ma se osserviamo la stessa persona quando arriva a casa, possiamo vedere invece che è aggressiva con la moglie e con i figli. Un altro individuo, che sul lavoro subisce, quando arriva a casa diventa aggressivo.
Quindi, di solito c’è uno stile predominante, ma la maggior parte delle persone adotta diversi atteggiamenti in situazioni diverse, perché Il nostro comportamento tende infatti ad adattarsi ad ogni situazione.

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Attacchi di panico

In Italia cinque milioni di persone soffrono di attacchi di panico, sapere che si è in molti a soffrire dello stesso malessere aiuta a non sentirsi diversi dalle altre persone, ma la paura predominante è di non riuscire a superarlo.
Quando le persone vivono una situazione di stress prolungato a causa della perdita del lavoro, di una separazione, di un lutto o di altri problemi, la respirazione tende a diventare molto rapida e ci si rende conto di non essere in grado di riprendere fiato, avvertendo una sensazione di mancanza d’aria, creando molta ansia e paura.
La paura è un’emozione primaria di difesa generata da un pericolo reale o da un suo ricordo, che prepara l’organismo a fuggire o ad affrontare la situazione che percepiamo come pericolosa, la reazione immediata del nostro corpo è quella dell’aumento del battito cardiaco e della pressione, mentre lo stomaco si contrae; questa è una risposta funzionale e innata che abbiamo appreso nel corso dell’evoluzione, ma a volte succede che quegli stessi sintomi si presentino mentre ci si trova tranquilli nelle proprie case o si sta guidando l’auto e il cervello inizia a decodificare queste informazioni come pericolose, come se fossimo di fronte a un pericolo reale.
Ciò che si dovrà fare, insieme al professionista, è apprendere ad affrontare la propria paura, che è una competenza che è possibile imparare, modificando i pensieri non funzionali, le risposte emozionali intense e il comportamento di fuga dalla situazione temuta.
Chi soffre di attacchi di panico ha una cronica tendenza ad interpretare anche lievi sensazioni fisiche come pericolose, catastrofiche, essere consapevoli dell’associazione automatica tra sintomo fisico e pensiero catastrofico è un primo passo importante per comprendere che i sintomi non sono pericolosi e i pensieri non si realizzeranno, perché falsi, in quanto la nostra mente interpreta la realtà in modo erroneo.
Dopo un’accurata valutazione e la definizione degli obiettivi, che si intendono raggiungere è importante riuscire a visualizzare fin dove si potrà arrivare, perché quanto più l’immaginazione sarà vivida tanto più ci si proietterà verso l’azione.
Fondamentali per affrontare il panico, oltre alle tecniche di esposizione in immaginazione e in vivo, sono il rilassamento muscolare e la respirazione diaframmatica, fare costante attività fisica (camminare, correre, andare in palestra), si possono utilizzare esercizi di mindfulness – ovvero il porre attenzione, in modo intenzionale, al momento presente, accettando, senza giudicare -, utili per gestire le emozioni negative come rabbia e/o tristezza, sviluppare un dialogo interno che determini un atteggiamento più sereno e infine gestire la propria vita sociale, ricordando che per migliorare il proprio stato d’umore è opportuno frequentare persone positive e allegre, evitando quelle che si lamentano.
L’attacco di panico può essere definito come un fulmine a ciel sereno, che può essere generato da diverse difficoltà (lavoro, salute, lutti, separazioni, problemi economici…), ma qualunque ne sia la causa ciò che importa è come si affronta il problema, ovviamente il primo obiettivo che si pone chi ne soffre è come imparare a gestirlo e a superare la crisi, ma poi ci si rende conto che vi sono altre difficoltà da superare nella vita quotidiana, per questo motivo è importante volersi bene e mettere il proprio benessere al primo posto e per fare ciò alcune regole: lavorare con passione senza annullare la propria esistenza, essere indipendenti, sapere che è possibile modificarsi, accettare le difficoltà e gli insuccessi, prendersi cura di se fisicamente cioè alimentazione corretta e regolare attività fisica.

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Keep calm and abbasso lo stress

Per migliorare il proprio benessere e gestire meglio lo stress sarebbe opportuno aumentare la consapevolezza di sé e delle proprie reazioni corporee

Al giorno d’oggi, il benessere individuale è sempre più messo alla prova dallo stress, che è una componente normale della vita di ciascuno; tuttavia, se presente in modo eccessivo e prolungato, può implicare un costo sia per la salute psichica che per quella fisica.

Lo stress rappresenta la risposta dell’organismo a qualsiasi stimolo interno o esterno di intensità e durata tale da minacciare la sopravvivenza e l’integrità o evocare meccanismi di adattamento atti ristabilire l’omeostasi (Selye, 1956). Tra i diversi tipi di stimoli stressanti, o stressors, una categoria importante è quella ambientale, relativa alle fatiche ed irritazioni quotidiane (Lazarus, 2000).
All’interno della Scala degli eventi di vita, sono state elencate 43 situazioni stressanti di diversa natura ed intensità. (Holmes & Rahe, 1967). Gli eventi riportati sono sia negativi che positivi, infatti la reazione allo stress è soggettiva.
Generalmente le donne affrontano lo stress meglio degli uomini (Bodenmann et al., 2015). Le prime, infatti, cercano cooperazione e sostegno nella rete sociale, mentre i secondi, quando sono sotto stress e percepiscono una situazione di pericolo, tendono ad allontanarsi dallo stimolo o combatterlo.
È possibile rispondere in modo adattivo allo stress, utilizzando alcune tecniche che permettono di modificare la propria reazione fisiologica, riducendo la pressione sanguigna, la frequenza respiratoria e cardiaca (Barinaga, 1997).
Per migliorare il proprio benessere e gestire meglio le situazioni potenzialmente stressanti, sarebbe opportuno aumentare la consapevolezza di sé e delle proprie reazioni corporee. La riduzione dello stress porterà anche un miglioramento del rendimento e della qualità del lavoro.
Per gestire in modo efficace lo stress, possono essere utilizzate diverse tecniche, tra cui: la respirazione quadrata e il rilassamento muscolare progressivo (Jacobson, 1938), che arrivano dal mondo orientale ma oggi sono molto usate anche in Occidente (Cosentino, Bove e Nicolò, 2004).
Sono entrambe tecniche di rilassamento, infatti sono molto utili nel ridurre lo stato di attivazione generato dall’evento stressante, in modo da poter migliorare la capacità di controllo sulle risposte corporee.
In particolare, il rilassamento progressivo è una tecnica che diminuisce la tensione muscolare e permette di migliorare il tono dei muscoli, contrastando lo stato cronico di stress e ansia. Tale esercizio è costituito da tecniche che riguardano gruppi muscolari diversi, il cui tempo di apprendimento dura circa quattro giorni. L’apprendimento si basa su una serie di esercizi che insegnano a riconoscere la tensione del muscolo stesso e, infine, allenare la consapevolezza del proprio corpo.
La respirazione quadrata, invece, è una tecnica efficace per le reazioni da stress. Infatti, può essere utilizzata sia prima che durante una situazione stressogena. In particolare, agisce sul ritmo respiratorio, rallentandolo e regolarizzando il respiro e l’iperventilazione, aumentando la concentrazione. Questa tecnica è relativamente facile da apprendere e si può adoperare in ogni contesto ci si trovi, senza dover ricorrere ad un aiuto esterno. E’ particolarmente utile nelle situazioni di stress e di tensione quando la respirazione diventa irregolare e superficiale, causando una riduzione della vitalità dell’organismo e un aumento della stanchezza e l’affaticamento.
Un altro modo per combattere lo stress integra due strumenti che, a prima vista, sembrano molto distanti tra loro: l’ipnosi e la realtà virtuale. La prima è una procedura in cui si suggerisce al soggetto di provare un cambiamento delle sue sensazioni, percezioni, pensieri o comportamenti (Kirsch 1994). La seconda è una tecnologia che permette di sincronizzare l’ambiente psicologico reale con quello virtuale. Alcuni ricercatori hanno pensato di unire questi due strumenti, arrivando a concludere che l’ipnosi condotta con la realtà aumentata è molto più efficace nel combattere lo stress rispetto a quella tradizionale (Askay et al, 2009).
Un’altra tecnica per combattere lo stress è lo Stress Inoculation Training (SIT) (Meichenbaum e Deffenbacher, 1988). Tale procedura implica un “allenamento” (training) della persona a gestire e dominare i propri comportamenti, pensieri ed emozioni, utilizzando tecniche diverse a seconda delle esigenze di ciascuno. Il termine “inoculation” invece, si riferisce al fatto che l’allenamento deve essere calibrato e dosato, come se fosse un vaccino, in modo da sviluppare una sorta di anticorpi contro lo stress. Questa tecnica prevede tre fasi.
La prima è la concettualizzazione, che implica l’analisi dei bisogni dell’individuo e il racconto della sua storia. In questo modo si allena l’automonitoraggio, focalizzando la propria attenzione sulle situazioni valutate stressanti e sugli aspetti sui quali si può agire, riflettendo sui pensieri e sulle emozioni associati.
La seconda fase è l’acquisizione delle abilità di coping, mirata allo sviluppo di un repertorio di tecniche per fronteggiare l’evento stressante, evidenziando gli aspetti relativi alla preparazione della situazione (prima), la gestione (durante) e la riflessione su come si è agito e su cosa si è imparato dall’esperienza (dopo).
La terza e ultima fase è l’applicazione e il completamento, in cui la persona deve mettere in pratica ciò che ha appreso nei vari contesti di vita reali in modo graduale. Si dovrebbe partire dall’immaginazione di possibili situazioni stressanti, a giochi di ruolo e analisi di strategie attuate da altri, fino ad arrivare all’uso delle competenze acquisite di fronte a situazioni della propria vita quotidiana.
Tale tecnica valorizza i punti di forza di ciascuno, offrendo strumenti utili nella propria quotidianità. Imparare ad essere consapevoli dei propri pensieri ed emozioni in un particolare evento, analizzando ciò che può essere migliorato e ciò che invece ha contribuito ad una risoluzione efficace, aumenta la possibilità di essere maggiormente attivi nelle situazioni quotidiane.
La vita di ogni giorno pone davanti a ciascuno sempre nuove sfide e molti ostacoli, ma sfruttando al meglio le proprie potenzialità, tutti saranno in grado di affrontare ogni genere di situazione che si presenterà davanti.

Il miglior momento per rilassarsi è quando non abbiamo neanche un momento per farlo. (S. J. Harris)

Articolo tratto da:
https://www.stateofmind.it/

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Insonnia

Chi soffre di insonnia sente il proprio sonno come insufficiente, inadeguato, di scarsa qualità, anche se si trascorre molto tempo nel letto.
L’insonnia può essere caratterizzata da uno o più dei seguenti sintomi:
• Difficoltà persistente nel tempo ad iniziare e/o a mantenere il sonno
• Risvegli notturni o precoci al mattino
• Sonno cronicamente non ristoratore o di scarsa qualità

Inoltre questa difficoltà è associata a una serie di disagi diurni come: fatica/malessere, difficoltà nell’attenzione, concentrazione o memoria, disfunzioni sociali/professionali o scarse performance scolastiche, disturbi dell’umore/irritabilità, sonnolenza diurna, riduzione nella motivazione, energia e iniziativa, disposizione a errori/incidenti sul lavoro o alla guida, tensione, mal di testa, sintomi gastrointestinali in risposta a perdita del sonno, ansia o preoccupazioni per il sonno

L’insonnia può dipendere da diversi fattori che interferiscono con il sonno peggiorandone la quantità e qualità, può essere: conseguenza di condizioni psicologiche (disturbi d’ansia e dell’umore), disturbo a sé stante ( in assenza di altri disturbi), insorgere in associazione ad altri problemi di ordine medico e/o psicologico, essere causata dall’uso o abuso di sostanze, conseguenza di condizioni neurologiche (cefalee, dolore cronico, Parkinson, ictus), conseguenza di condizioni cardiovascolari (angina, insufficienza cardiaca, aritmia), conseguenza di condizioni respiratorie (enfisema, asma, laringospasmo), conseguenza di condizioni gastriche (ulcera peptica, reflusso, sindrome del colon irritabile), conseguenza di condizioni endocrine (iper/ipo tiroidismo, diabete mellito), conseguenza di condizioni muscoloscheletriche (artrite reumatoide, osteoartrite, fibromialgia), conseguenza di condizioni dell’apparato riproduttivo (gravidanza, menopausa).

L’insonnia può essere distinta, in base alla sua durata, in:
• occasionale o situazionale, se il problema si manifesta per breve periodo in corrispondenza di eventi stressanti (lavorativi, familiari, lutti, ecc.)
• cronica o psicofisiologica, se perdura per oltre un mese in assenza dei fattori che l’hanno scatenata

LA PREOCCUPAZIONE COSTANTE DI NON RIUSCIRE A DORMIRE PUÒ COSTITUIRE UN FATTORE DI MANTENIMENTO DELL’INSONNIA STESSA.
Infatti, l’insonnia situazionale può trasformarsi in cronica se le preoccupazioni collegate al non riuscire a dormire si sostituiscono alle condizioni che hanno portato alla sua insorgenza come tensioni emotive, fattori stressanti o condizioni mediche. Si mantiene, così, una condizione di attivazione psicofisiologica che ostacola l’adeguato sviluppo del sonno.

CAUSE DELL’INSONNIA
Come descritto, preoccupazioni e ruminazioni legate al non riuscire a dormire e agli effetti conseguenti alla perdita di sonno sulle prestazioni lavorative del giorno seguente, causano un’attivazione del sistema nervoso che rende difficoltoso il sonno.
Inoltre, i tentativi di soluzione che, spesso, le persone insonni mettono in atto per contrastare l’insonnia alimentando il disturbo. Infatti, gli insonni , spesso fanno “pisolini” pomeridiani o tentano di andare a letto presto, con l’aspettativa di addormentarsi prima e recuperare, così, il sonno perso. In realtà, anche se potrebbero apparire comportamenti sensati, nell’insonnia questi tentativi peggiorano il problema.
Si aggiungono a questi fattori delle credenze irrealistiche sul sonno e sul bisogno di sonno, che aumentano le preoccupazioni sull’insonnia e alimentano l’ansia e l’attivazione psicofisiologica producendo, così, un circolo vizioso che mantiene il disturbo.
Infine, anche le abitudini (orario in cui si va a letto, alcolici, caffeina, alimentazione, attività fisica serale) possono alterare il sonno e provocare insonnia.

TRATTAMENTO DELL’INSONNIA
E’ stato osservato che, indipendentemente dalle cause del disturbo d’insonnia, il suo trattamento ha effetti positivi sia sul sonno che sulla patologia associata. La cura dell’insonnia oggi prevede sia trattamenti farmacologici che non-farmacologici. Mentre i trattamenti farmacologici risultano più indicati nella cura delle insonnie occasionali o situazionali, quelli non-farmacologici più indicati per le insonnie croniche. La prima fase dell’intervento prevede la valutazione dei diversi aspetti alla base dell’insonnia al fine di modificare i comportamenti che incidono negativamente sul sonno e mantengono l’insonnia. L’intervento agisce su tutti gli aspetti fisiologici, cognitivi e comportamentali che mantengono tale disturbo.
Ognuno di questi aspetti viene trattato con interventi mirati che, in studi sperimentali, hanno dimostrato essere efficaci:
• Tecnica del controllo dello stimolo
• Restrizione del sonno
• Tecnica dell’intenzione paradossa
• Terapia cognitiva
• Tecniche di rilassamento
• Mindfulness
• La terapia cognitiva assume un ruolo rilevante nei casi in cui l’insonnia si associa ai Disturbi D’ansia e Dell’umore

LA TERAPIA COGNITIVO COMPORTAMENTALE PER L’INSONNIA CBT-I costituisce un intervento specifico per il trattamento dell’Insonnia fondata su modelli psicofisiologici di regolazione del sonno e opera sui fattori di mantenimento del disturbo di tipo comportamentale, fisiologico e cognitivo, è la terapia non farmacologica più indicata per favorire la riduzione dei sintomi dell’insonnia cronica, migliorando il sonno nel 75%-80% dei soggetti con insonnia e favorisce nel 90% dei casi la riduzione o l’eliminazione dell’uso di farmaci ipnoinducenti.

CONSIGLI UTILI:
Psicoeducazione al sonno, all’insonnia e all’igiene del sonno:

Ricerche sperimentali suggeriscono che l’essere umano necessita di 6 ore di sonno. La durata del sonno, infatti, può variare da persona a persona. Inoltre, il bisogno di sonno varia con l’età tendendo progressivamente a diminuire.
• Andare a letto solo se si ha sonno. Ridurre il tempo trascorso a letto senza dormire
• Conservare orari di addormentamento e risveglio regolari, anche durante il fine settimana (permette di mantenere un ritmo sonno-veglia regolare)
• Non fare riposini diurni (se necessario, soltanto nel primissimo pomeriggio e di breve durata)
• Non consumare alcolici nelle 2-3 ore precedenti l’addormentamento
• Non assumere sostanze eccitanti nelle 6 ore prima di andare a dormire.
• Evitare di fumare nell’ultima mezz’ora prima di andare a dormire.
• Non mangiare cioccolata e zuccheri, e di bere grosse quantità di liquidi prima di andare a dormire
• Praticare attività fisica regolarmente, ma non prima di andare a dormire.
• Rendere confortevole la camera da letto.
• Usare la camera da letto solo per dormire.

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Ipocondria: l’ansia connessa allo stato di salute

La caratteristica principale tipica dell’ipocondria, o ansia connessa con lo stato di salute, è la credenza, basata sull’interpretazione erronea di segni o sintomi fisici, di avere o di stare sviluppando una grave patologia, senza che un’accurata valutazione medica abbia identificato motivi sufficienti per giustificare questi timori.
La preoccupazione dovrebbe causare un considerevole disagio e il problema dovrebbe sussistere per almeno 6 mesi, perchè si possa legittimare una diagnosi di disturbo da ansia da malattia, secondo il DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali).
Le rassicurazioni mediche non riescono a dissipare queste paure ingiustificate, alcuni ipocondriaci ricorrono al loro medico curante mentre altri, a causa di una paura generale di tutto ciò che è in relazione a malattie fisiche, tendono ad evitare contatti con specialisti e informazioni sanitarie.
La ricerca di rassicurazione può essere estesa e trasformarsi nella tendenza a consultare in continuazione esperti senza averne un effettivo bisogno.
Si osserva un aumento di attenzione per i processi fisici endogeni, come il ritmo cardiaco, l’attività gastro-intestinale, la deglutizione, la respirazione ecc.
Alcune persone, invece, concentrano l’attenzione su aspetti esteriori del corpo e sono eccessivamente attenti a particolari come l’asimmetria del corpo, l’irregolarità e le macchie delle pelle, la perdita o la crescita irregolare dei capelli e la grandezza delle pupille.
Continue rimuginazioni e preoccupazioni contribuiscono a mantenere il corpo al centro dell’attenzione e influiscono sui sintomi (ad es. disturbi del sonno) che, a loro volta, possono portare alla formazione o al rinforzo delle false interpretazioni, la cui risposta affettiva che accompagna quanto descritto è tipicamente l’ansia, i cui sintomi vengono interpretati erroneamente.
I comportamenti che contribuiscono al mantenimento di questo disturbo sono:
– Controllo del proprio corpo per verificarne il funzionamento (palpazione dell’addome, respirazioni profonde, forzate deglutizioni, controllo del polso)
– Evitamento di attività o situazioni che espongono l’individuo a pensare al proprio stato di salute o all’ansia.
– Comportamenti protettivi per ridurre il rischio di malattie future.
– La ricerca di rassicurazione.
Sembra quasi paradossale che i pazienti con ansia connessa allo stato di salute, da un lato siano preoccupati del loro benessere fisico, dall’altro continuino a mantenere atteggiamenti potenzialmente dannosi per il loro corpo, come fumare o abusare di alcol. Cambiamenti di stile di vita e l’introduzione di esercizi fisici abituali, sono un mezzo utile per ridefinire se stessi come persona sana e in forma e possono aiutare a liberarsi da schemi di vulnerabilità fisica.

22 Nov 2020

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MINDFULNESS: che cos’é?

Secondo la definizione di Jon Kabat-Zinn, Mindfulness significa “porre attenzione in modo particolare: intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante”.

• E’ dirigere volontariamente la propria attenzione a quello che accade nella propria mente, nel proprio
corpo e intorno a se, momento per momento, ascoltando più accuratamente la propria esperienza osservandola
per quello che è senza valutarla o criticarla, ma restando semplicemente in ascolto di quello che c’è nel
momento in cui accade.
• E’ una pratica fondata su criteri scientifici.
• Ci permette di stare nel qui ed ora.
• E’ un modo di vedere i propri pensieri come qualcosa che passano nella nostra mente e rispondere ad essi
piuttosto che interpretarli.
• E’ prestare attenzione in modo intenzionale e non giudicante a tutte le esperienze che viviamo nella vita
quotidiana.
• E’ un’esperienza soggettiva e personale, non vi è un modo giusto o sbagliato di praticarla.
• Praticare Mindfulness è un viaggio che dura tutta la vita ed offre infinite opportunità per imparare.
• E’ prestare attenzione alla propria esperienza nel momento presente, il passato è già successo e non potrà
più essere cambiato, il futuro è importante, ma verrà determinato da quello che si fa adesso in questo
momento.

La Mindfulness è stare nel momento presente, perché è l’unico momento in cui si ha l’opportunità di fare qualcosa di diverso anche per il futuro.

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COVID-19: l’impatto emotivo di una pandemia mondiale

Il periodo nel quale ci siamo trovati, nostro malgrado, a vivere durante questo 2020 ha lasciato delle tracce in ognuno di noi.
La pandemia di COVID-19, ha rivoluzionato la nostra quotidianità in ogni suo aspetto: il lavoro, la vita in famiglia, il tempo libero, la vita sociale e le abitudini sportive. Non sorprende, quindi, che a livello psicologico sia stato, e sia tutt’ora, un momento storico che facilmente potrebbe avere ripercussioni, anche gravi, sulla nostra salute mentale.
Uno studio condotto in Cina ha sottolineato come dei 7236 partecipanti, il 35,1% mostrava sintomi legati al Disturbo d’Ansia Generalizzato, il 20,1% mostrava sintomi depressivi e il 18,2% aveva problemi legati alla qualità del sonno (Huang & Zhao, 2020). Questo è solo uno dei tanti esempi presenti in letteratura di come il COVID-19 abbia influito negativamente sulla salute psicologica degli individui, costretti a vivere in un continuo stato di allerta, di paura e di preoccupazione.
Provare emozioni negative quali ansia, rabbia, tristezza e paura, pur essendo assolutamente normale, facilita la comparsa di sintomi legati allo stress. Un modo piuttosto efficace per liberarsi dalle emozioni negative, è riconoscerle (‘mi rendo conto che mi sento molto arrabbiato, che ho paura, che mi sento triste, sopraffatto) per poi cercare di lasciarle andare, piuttosto che tentare a tutti i costi di risolverle e controllarle. Ricordiamoci che quello che spaventa noi, con molta probabilità, spaventa anche gli altri!
È proprio all’interno di un quadro mondiale così spaventoso che acquisiscono un’importanza particolare l’autoconsapevolezza e la capacità di regolare le proprie emozioni. Come accennato poco fa, il solo essere in grado di riconoscere uno stato emotivo negativo e la decisione di conviverci, piuttosto che cercare di combatterlo, può essere di grande aiuto.
Prendiamo, per esempio, un attacco particolarmente severo di ansia. Nel momento in cui ci rendiamo conto che la tachicardia, il respiro affannoso, le mani che tremano, lo stato di allerta e la sudorazione aumentata fanno tutti parte di una sintomatologia completamente innocua legata all’ansia, automaticamente questi stessi sintomi faranno meno paura, risulteranno meno minacciosi e tenderanno a diminuire in maniera repentina.
Insieme all’autoconsapevolezza, un’altra skill di estrema importanza è la capacità di regolare le proprie emozioni, ovvero, la regolazione emotiva. Essa consiste in una serie di tecniche che possiamo mettere in pratica per cercare di calmare l’emozione negativa che stiamo provando in un determinato momento. Poco fa si accennava alla capacità di sentire un’emozione e tenerla con sé senza cercare di combatterla: questa, ovvero l’accettazione, è una delle tecniche che aiuta chi prova un’emozione negativa ad accettare la propria condizione in maniera aperta e non giudicante.
Riassumendo, il COVID-19 ha sicuramente lasciato un profondo segno nella vita di tutti noi, ma ci sono tanti modi per combattere il disagio psicologico che non richiedono più di qualche minuto al giorno e che possono nettamente migliorare la qualità delle nostre vite: la salute della nostra mente parte, innanzitutto, da noi stessi.
È alla luce di queste affermazioni che i professionisti dei Servizi Clinici Universitari della Sigmund Freud University hanno strutturato un progetto di ricerca atto a monitorare i cambiamenti emotivi di tutti gli individui che sono stati toccati dall’emergenza COVID-19. Il periodo di sviluppo della pandemia, il successivo lock-down e il lento ritorno alla normalità, che tutt’ora è minacciato da un nuovo innalzamento dei casi, può aver lasciato il segno.

Fonte: https://www.stateofmind.it/2020/10/covid-19-impatto-emotivo/

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